Presupposti di un’analisi necessaria
Agosto è appena iniziato e siamo tutti indaffarati a chiudere uffici e valigie, incluse le liste dei buoni propositi. Agosto rappresenta anche un’opportunità per fare un bilancio dell’anno fino a qui trascorso. Negli ultimi mesi, partecipando a vari tavoli di confronto tra Biella, Vercelli e Ivrea e dialogando con il mio network professionale, mi sono confrontata su alcuni temi divenuti progressivamente sempre più urgenti nel mondo del lavoro: la carenza di manodopera e competenze unite alla perdita di senso e motivazione al lavoro
Temi che nelle titolazioni dei media assumono, ormai da anni, una forma di trend acchiappalike, senza analizzare davvero le cause chiave.
Proprio negli scorsi giorni, un titolo di attualità locale, riporta lo stralcio di un’intervista al presidente della Confederazione Nazionale Artigiani (CNA) di Biella, Gionata Pirali: “Da dieci anni cerca un apprendista muratore: e non lo ha ancora trovato”.
Lavorando quotidianamente su questi temi, è evidente la necessità di approfondire le motivazioni dietro la carenza di personale e competenze e la scarsa motivazione al lavoro tra i giovani. Il mondo datoriale ne ha preso atto, ma forse non compreso appieno.
Siamo di fronte a un cambiamento di mentalità verso il lavoro che richiede un’analisi approfondita per trovare soluzioni concrete.
Le cause chiave della carenza di manodopera e competenze
Il calo demografico
Entro il 2040, si prevede una riduzione di 3 milioni di lavoratori nel mercato del lavoro italiano. Questo calo è dovuto principalmente all’uscita dei baby boomer (nati tra il 1946 e il 1964) e al rallentamento della natalità. Le generazioni successive, meno numerose, non riescono a colmare questo vuoto. Per anni, le persone prossime alla pensione sono state messe da parte per mancanza di competenze digitali. Questo ha impedito loro di trasmettere conoscenze pratiche e verticali alle giovani generazioni. Affiancamento, mentorship e trasferimento di competenze sono cruciali in settori come il tessile e l’artigianato, dove l’esperienza sul campo è fondamentale
Disallineamento scuola-lavoro
Il sistema educativo italiano è inefficace nella preparazione al lavoro. C’è un evidente disallineamento tra formazione e mercato del lavoro, e i sistemi di orientamento non indirizzano adeguatamente i giovani verso percorsi qualificanti. La collaborazione scuola-lavoro è spesso più uno slogan che una realtà.
I NEET (Not in Education, Employment, or Training) sono in crescita
Il 40% delle ricerche di personale non va a buon fine a causa dell’elevato numero di NEET, che rappresentano una parte significativa della popolazione giovanile. Questo circolo vizioso inizia dall’educazione scolastica e familiare e prosegue con il mancato dialogo tra scuola e lavoro.
L’esodo di talenti ha numeri importanti
Circa 140.000 persone lasciano l’Italia ogni anno, e il 70% di queste sono giovani laureati in economia, medicina e ingegneria. Regioni come Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Veneto e Sicilia sono particolarmente colpite. Le associazioni di categoria dovrebbero promuovere politiche per attrarre e mantenere i giovani con incentivi fiscali, opportunità di carriera e miglioramento delle condizioni di lavoro.
Immigrazione, riqualificazione, integrazione
L’Italia accoglie circa 5 milioni di immigrati, ma i canali di reclutamento, riqualificazione e integrazione non sono sufficientemente sviluppati. L’immigrazione potrebbe essere una risorsa, ma richiede politiche adeguate. Rafforzare i programmi di riqualificazione e integrazione per gli immigrati potrebbe colmare le lacune nel mercato del lavoro e rendere il sistema più inclusivo.
La frammentazione dei contratti di lavoro e il precariato
Le nuove generazioni sono portate a non proiettare a lungo termine le proprie aspettative sul futuro. La mancanza di stabilità ha fatto perdere senso e motivazione al lavoro. Il concetto di affidamento reciproco tra datore di lavoro e dipendente è in crisi: le persone non investono in progettualità a lungo termine e le aziende non possono offrire stabilità.
La situazione paradossale nella carenza di manodopera e competenze
La situazione fino a qui descritta è evidentemente paradossale: la mancanza di certezze sul lungo periodo rende vano l’impegno per raggiungere obiettivi lavorativi significativi, portando i giovani a non preoccuparsi di costruire un futuro stabile con l’impegno e il sacrificio di un tempo, mentre le fasce di popolazione più debole cadono in un vortice di disimpegno e mancanza di obiettivi.
E’ inoltre evidente a chi si occupa di recruiting che la carenza di manodopera e competenze si manifesta anche attraverso la tendenza al rifiuto di lavori che non garantiscono un equilibrio tra vita lavorativa e personale, orari lavorativi flessibili e la coerenza con il proprio sistema valoriale. Da questo sentire è nato il mito della felicità al lavoro, una ricerca diventata ormai chimerica, col rischio di perdere di vista il senso più profondo legato alla crescita e all’apprendimento, al contributo del singolo alla società, a favore di un welfare fatto di voucher o dell’ultimo dei corsi di yoga.
Il benessere al lavoro è altra cosa: sa di valori solidi, di autorealizzazione, di investimento reciproco sul lungo termine, oggi non sempre garantito per la volatilità dei mercati.
Una visione a lungo termine
Dunque, nello scenario appena descritto, in quale direzione cercare delle soluzioni per una visione a lungo termine e contrastare la carenza di manodopera e competenze? Come recuperare persone, competenze e senso di autorealizzazione al lavoro?
Per rispondere, pongo alcune domande:
- Quale attrattiva possono avere tre o più anni di apprendistato per l’acquisizione di una professione, soprattutto se le implicazioni, gli sbocchi e gli sviluppi di tale professione non sono ben conosciuti o, peggio ancora, influenzati da stereotipi e bias del sentito dire?
- Che attrattiva possono mettere in campo le imprese per trattenere i giovani che altrimenti andrebbero all’estero?
- Come qualificare la forza lavoro proveniente dall’immigrazione, affinché non si disperda nel lavoro in nero e si possa efficacemente integrare nella nostra società?
La risposta non è univoca e richiede una riflessione approfondita da parte di ogni comunità territoriale e organizzativa, sia pubblica che privata. È fondamentale creare un ecosistema virtuoso che integri la società civile, le imprese e il sistema educativo. Solo attraverso una collaborazione sinergica e una visione condivisa sarà possibile affrontare le complessità del mercato del lavoro attuale e costruire un futuro sostenibile e prospero.
Investire in formazione, stipendi competitivi, percorsi di carriera chiari e promuovere una cultura aziendale inclusiva e meritocratica non è solo una questione di risorse economiche, ma anche di volontà politica e sociale. È una sfida che richiede impegno, lungimiranza e la capacità di vedere oltre le difficoltà immediate.